Massimo Sarra: «La musica è stata la mia salvezza»
Abbiamo intervistato Massimo Sarra, compositore e docente di Teoria Analisi e Composizione del Sigonio.
Cosa l’ha spinta a scegliere questo percorso lavorativo?
«Gli aspetti più importanti che mi hanno spinto a svolgere questo mestiere sono due: lo studio continuo e la relazione con i ragazzi. Il compositore, infatti, tramite i suoi studi sulla tradizione, migliora e in questo modo aiuta anche i suoi studenti. L’ambiente, poi, è certamente una cornice interessante e stimolante perché si è circondati dai ragazzi e anche dai loro genitori con i quali si possono avere scambi che vanno oltre il semplice rapporto genitore-professore».
Cosa invece lei da bambino pensava sarebbe diventato da grande?
«Questa domanda è molto difficile, perché da bambino non avevo fantasie lavorative future. Vengo da un ambiente molto particolare e povero, dunque avevo il desiderio di migliorare la mia condizione. Da piccolo vivevo in una casa popolare in cui entrava addirittura la pioggia e dormivo in una stanza piccolissima con i miei quattro fratelli. Quando poi sono cresciuto, ho passato otto anni in collegio, dove ho sperimentato molta delinquenza ed episodi di bullismo. Ho ancora il segno sul polpaccio di un taglio di coltello, proprio perché assistevamo a episodi ricorrenti di violenza. Quando si commetteva qualche imprudenza, la punizione era quella di privarti della vista della famiglia, oppure venivamo rinchiusi dentro a un tugurio, dove ci obbligavano a stare in ginocchio sui ceci secchi, o ancora, ci frustavano sulla schiena con il giunco. Il primo giorno di collegio non mangiai il minestrone e il sorvegliante mi spinse la testa dentro al piatto, a quel punto cercai qualsiasi escamotage pur di riuscire a finire tutto quello che mi davano, compresi i cibi più scadenti. Il cortile era un piccolo rettangolo circondato da quattro mura di cemento, era tutto grigio, sembrava di stare nell'ora d'aria del carcere e non si poteva fare nulla, se non giocare a calcio. Quella del collegio stata un'esperienza dura, ma ha forgiato il mio carattere, e in seguito, mi è servita molto per raggiungere i miei scopi nella vita: soffrire mi ha aiutato a crescere senza dare per scontate le cose che possedevo. Come sfogo per questa condizione, ho iniziato a dare dei colpi ad alcuni barattoli con dei bastoni e facevo rumore. In collegio, poi, una suora ogni tanto ci faceva cantare e questa attività è diventata il mio metodo per sfuggire alla realtà e mi ha avvicinato alla musica. Da questa esperienza ho iniziato a studiare percussioni e successivamente composizione, ma da piccolo non avevo idea che sarei arrivato fino a qui. L’altro momento decisivo della mia vita è stato l’incontro con Mozart, il compositore che, più di ogni altro, mi ha cambiato la vita».
Quindi è proprio in questo momento della sua vita che si è legato alla musica e lo ha aiutato?
«Potrei rispondervi citando il concetto di Italo Calvino secondo il quale l’uomo, durante la sua vita, sperimenta molte occasioni difficili da superare ma che condizionano il loro futuro, sia positivamente che negativamente. Molto spesso, a parer mio, i ragazzi sbagliano perché aspirano ad avere una professione importante o affascinante, ma magari non sono predisposti a quell’ambito. Per me quindi è importante, come dice Oscar Wilde, seguire le occasioni che casualmente si presentano nella vita. A me è successo proprio così, perché un insegnante di composizione ha visto in me un potenziale che non pensavo di possedere. Come accade quando si studia composizione, poi, sono stato inserito in una classe di pianoforte, anche se allora non sapevo ancora suonare lo strumento. Una volta mi disse “esistono due categorie: il compositore e il creativo. Il compositore sfoggia la propria tecnica utilizzando i suoni per raccontare e parlare. Tu, invece, sei creativo. Io posso insegnare la tecnica a chiunque, ma non posso insegnare la creatività perché non esiste una scuola che ti insegna a essere originale".
Crescere è proprio questo: comprendere quale sia il proprio destino e non cercare di seguire le influenze esterne, perché possono portarti a fallire e a vivere non a pieno la tua vita. E questo ciò che provo a far capire ai miei ragazzi, ma è molto difficile».
Rispetto a quest’ultima parte, qual è il rapporto con i suoi studenti e cosa sta imparando da loro?
«Citando Goethe, le persone sono sfumature contenute all’interno di un’armonia complessa. Conoscere tanti ragazzi significa conoscere tante prospettive o visioni diverse e ti permette anche di non dimenticare quello che tu stesso sei stato. Passare del tempo con loro, infatti, ti fa ripensare a quando tu avevi la loro età ed eri pieno di sensazioni ed emozioni. Tutto questo ti arricchisce e ti permette di cogliere quelle sfumature che ognuno di noi ha dentro di sé. Non a caso, qualche anno fa, ho scritto un’opera che si intitolava “nuances” che è stata anche suonata qui al Sigonio».
Tre aspetti del suo carattere che sono cambiati da quando è diventato padre.
«Posso iniziare dicendo che ho davvero capito che cos'è l’amore da quando sono diventato padre. L’amore che si prova per un figlio è diverso da tutti gli altri tipi di amore che si incontrano durante la vita perché è quello per il quale faresti qualsiasi cosa. Per esporre gli altri due aspetti, cito un poeta libanese, Khalil Gibran. Secondo lui la tolleranza e la forza devono essere amiche. La tolleranza, perché con i figli devi essere paziente, mentre per crescerli serve la forza. In conclusione, quindi, direi questi tre aspetti: amore, tolleranza e forza».
Quali sono i criteri per definire un uomo realizzato nella vita?
«Mi sento realizzato perché a fine giornata, soprattutto quando sono da solo con me stesso, mi accorgo che tutto sommato sono contento. Principalmente perché non mi aspettavo di arrivare a questo punto, considerando da dove sono partito».
Da dove prende ispirazione quando scrive i suoi brani? Ha una musa ispiratrice?
«Non ho una musa ispiratrice, non credo molto a queste cose. Durante la giornata si può cambiare umore più volte e non essere più molto predisposto a fare una determinata cosa. Questo è ciò che accade a me. Se non mi sento predisposto, non mi obbligo a fare una cosa di cui poi non sarei soddisfatto. Per esempio, ultimamente sto lavorando con il mio collega, il prof. Clemente. Stiamo cercando di creare un’opera e in questo momento mi trovo in una fase di stallo, ma lo accetto e non mi obbligo a scrivere qualcosa. Quando, invece, ci sono dei momenti in cui mi sento particolarmente ispirato allora investo il mio tempo nella scrittura. La mia musa, quindi, penso sia il tempo».
Se dovesse associare uno strumento musicale o un genere musicale alla sua persona, quale sceglierebbe e perché?
«Sono molto legato a Ruggeri. Le sue canzoni, specialmente “Prima del temporale”, guidavano le mie giornate e le mie serate difficili da ragazzino. Sempre da giovane, mi sono appassionato alla musica classica soprattutto grazie ad alcuni concerti per pianoforte di Mozart, il compositore al quale sono più legato. Infine, apprezzo anche alcuni gruppi rock».
Cosa significa per lei la musica in generale: è soltanto un mezzo di comunicazione ?
«Per me la musica è l’arte suprema ed è stata la mia salvezza. In quei quartieri dove la gente moriva e spacciava, lei è stata la mia ancora, ma non è stata voluta da me: è arrivata. Per questo dico che non bisogna dare solo spazio a ciò che ci piace, ma bisogna crearsi delle alternative per aprirsi più strade e non rischiare di fallire.
La musica mi rappresenta: è un’articolazione temporale in movimento in cui eventi e informazioni vengono inserite e organizzate al suo interno. Un altro aspetto importante, poi, è l’interpretazione: ogni volta che si suona una canzone, infatti, pur essendo sempre la stessa non sarà mai uguale. È una cosa molto complessa che mi rappresenta, quindi se potessi sceglierei mi farei sicuramente rappresentare in questo modo da un’orchestra: complesso e molteplice».
Redazione Sigonio
Noemi 5ªD
Elisa 5ªD