Vinnie Babino: al di là del limite
A colloquio con Vinnie Babino, docente di matematica dell’istituto, abbiamo avuto l’opportunità di conoscere meglio la sua vita e la sua carriera professionale, attraverso il racconto dei suoi inizi, delle sfide affrontate e delle soddisfazioni ottenute durante gli anni.
Cos’è cambiato nel suo trasferimento dagli Stati Uniti all’Italia?
«Sono nato a New York e mi sono trasferito in Italia a 7 anni, per decisione dei miei genitori. Se avessi potuto scegliere, sarei rimasto in America. All'inizio del trasferimento provavo un grande disagio: a New York stavo benissimo e non comprendevo perché dovessimo spostarci. Ho avuto molte difficoltà a relazionarmi con i miei coetanei, che mi vedevano come una persona superiore solo per via della mia provenienza. Io mi sentivo un ragazzo normale, ma loro erano diffidenti nei miei confronti e mi consideravano di un altro livello senza che io ne capissi il motivo. Per essere considerato, facevo di tutto, arrivando anche a regalare prodotti della salumeria di mio padre. Con il passare degli anni, ho perso il desiderio di tornare in America, ma rimane sempre il dubbio su come sarebbe andata la mia vita se fossi rimasto là».
Ha sentito sempre suo il lavoro da insegnante?
«È stata una scelta che ha sorpreso anche me, non pensavo di essere in grado di insegnare, è stato un caso. Questa decisione l’ho presa principalmente per due avvenimenti: il primo un esame di analisi che ho affrontato con estrema facilità e l’altro le lezioni private ai ragazzi che ottenevano sempre grandi soddisfazioni. Visto che non era un impegno grosso per me, mi sono chiesto a cosa mi potesse portare l'insegnamento, e ho visto i suoi aspetti positivi: il fatto di stare a contatto con i ragazzi e le molte ferie. Ho deciso di provare, è stata una scelta presa quasi alla fine del mio percorso universitario, ho iniziato facendo informatica e dopo quell’esame di analisi ho deciso di cambiare prendendo matematica».
Ha mai avuto problemi con i suoi studenti? Ha mai avuto ripensamenti sulla scelta di insegnare?
«No, credo che il Sigonio sia un mondo a parte. Ho lavorato solo qui, ma dal punto di vista scolastico è un vero paradiso. Ci sono alcuni problemi legati alla mia materia, soprattutto riguardo a determinati approcci di studio che non condivido, ma non ho mai avuto problemi né con gli studenti né con i colleghi. Ogni anno arriva quel periodo in cui penso di voler trasferirmi in un altro istituto, perché vorrei insegnare la mia materia in modo diverso, ma poi rifletto e mi rendo conto che non ne vale la pena, perché qui sto davvero bene.
Inoltre, per la gestione della mia malattia, qui ho molte comodità. In un’altra scuola dovrei ricominciare da capo, e dal punto di vista fisico sarebbe molto pesante. I ragazzi, inoltre, non fanno pesare il mio problema. Ho sempre la sensazione che si comportino con rispetto verso la figura dell'insegnante, nonostante la mia disabilità. Capite i miei limiti e ho la sensazione che vogliate fare di più, riuscendo a distinguere tra la mia materia e l'insegnamento, anche nelle discussioni. Questo non è affatto scontato».
Il suo carattere ha mai inciso sulla sua vita scolastica e poi successivamente sulla sua carriera lavorativa?
«Il mio carattere mi ha portato a fare determinate scelte, che a loro volta hanno influenzato il mio comportamento. Alcune mie caratteristiche sono rimaste però inalterate: l'approccio alla vita, alle relazioni e il tentativo di non mettere i miei problemi personali davanti al lavoro. Cerco sempre di mantenere una distinzione tra i due ambiti. Il tipo di facoltà che ho frequentato e l'esperienza al Sigonio mi aiutano in questo. Nonostante a volte possiate vedermi arrabbiato, non è mai a causa della mia malattia. Se sono arrabbiato, ci sono altre ragioni, talvolta esagerate e altre volte giustificate».
Quale pensa sia stata la sfida più grande della sua vita e come l’ha affrontata?
«Ovviamente la mia malattia, ma è una sfida ogni giorno. Non so esattamente come riesco ad affrontarla; se mi fermo a riflettere, non so davvero dove io trovi la forza. Affronto molti episodi negativi, riuscendo a elaborarli e andare avanti. Mi metto in discussione su tante cose. Mi meraviglio di me stesso. Non è facile. Ognuno reagisce in modo diverso a malattie come la mia: c'è chi le affronta meglio e chi peggio. Dentro di me sono infelice, anche se all'esterno non sembra. C'è una parte di me che soffre e che nessuno può alleviare. Non posso consigliare un metodo per affrontare psicologicamente queste malattie, ma posso dire che il sostegno della mia famiglia e dei miei amici, così come quello della scuola, mi aiuta molto. Vengo a lavorare con il giusto entusiasmo, e questo mi dà forza.
Le frasi fatte non mi piacciono; la realtà è diversa. La scuola mi aiuta perché mi fornisce un ambiente positivo e stimolante. Nonostante tutto, affronto ogni giorno con determinazione».
Se dovesse descriversi con tre aggettivi quali userebbe? Quale ritiene sia il suo maggior pregio e il suo difetto?
«Mi ritengo una persona onesta, rispettosa delle regole e simpatica.
Faccio fatica a definire il mio miglior pregio, ma penso che sia la forza, che mi ha permesso di convivere con la malattia e non sfogare la mia rabbia sulle altre persone.
Il mio peggior difetto, penso sia quello di non essere riuscito ad instaurare una relazione duratura con una donna, le motivazioni sono diverse: quando ero piccolo, perché ero superficiale e leggero, e poi sicuramente con gli anni la mia problematica non mi ha aiutato».
Che rapporto ha con i suoi colleghi e con il personale scolastico?
«In generale, il Sigonio è un bell’ambiente, anche se, come in tutti i luoghi, si incontrano persone caratterialmente distanti da noi. Ho legato principalmente con docenti con cui avevo passioni in comune al di fuori della scuola.
Personalmente, essendo molto schietto, faccio fatica a rapportarmi con persone che non sono sincere o che fanno “buon viso a cattivo gioco”.
Per quanto riguarda il personale scolastico, riconosco una grande umanità, sono grato dell’aiuto che mi hanno dato in questi anni e della loro disponibilità nei miei confronti.
È normale che vista la necessità di dover passare molto tempo insieme sono costretto a sorbirmi tutte le emozioni e i pettegolezzi del momento, ma non è un problema».
Qual è stato il suo più grande idolo nella vita? In che maniera le è stato di ispirazione?
«Il mio punto di riferimento è sempre stato il professore di matematica che avevo alle superiori, che è stato il motivo per cui ho scelto di insegnare questa materia a Modena. Durante la scuola, si era instaurato tra noi un legame quasi morboso: mi chiedeva, ad esempio, di ritirare i quaderni dei miei compagni di classe per controllare se avessero fatto i compiti.
Il nostro rapporto è continuato anche dopo e si è consolidato sempre di più.
Lo reputo una persona molto viva e attiva, e gli sarò sempre riconoscente per avermi sostenuto ed aiutato: per me è come un secondo padre».
Se potesse, cambierebbe qualcosa del suo passato, lavorativo e non?
«Dal punto di vista lavorativo non cambierei nulla, sono contento di aver scelto questa professione, perché mi ha permesso di stare a contatto con i ragazzi e di poter lavorare nonostante le difficoltà dovute alla mia malattia.
Personalmente, cambierei l’approccio che ho avuto con il genere femminile, se potessi migliorerei il modo che ho di relazionarmi con le donne a cui sono interessato».
Quando era studente come si comportava? Era l’introverso di turno oppure il casinista della classe?
«Devo ammettere che non ero assolutamente lo studente modello, in diverse situazioni mi sono comportato in modo scorretto sia con i docenti che con i miei compagni. La maggior parte dei miei comportamenti erano dovuti alla volontà di essere incluso in un gruppo, cercavo in tutti i modi di attirare l’attenzione delle persone che mi stavano intorno».
Redazione Sigonio
Sara 5ªH
Alice 5ªH